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Nel dopoguerra, gli accessori e il mercato si sono evoluti seguendo le fasi vissute dal settore moto: ricostruzione, boom economico, l’arrivo delle Case giapponesi
Luigi Rivola
16 ago 2022
L’indagine ha messo in evidenza come per quasi cinquant’anni la preoccupazione principale delle industrie inserzioniste, in Italia come altrove, fosse la promozione di parti meccaniche e attrezzature, oppure di componenti sostituibili dagli utenti, come pneumatici, batterie, selle, fanali. L’attenzione al motociclista era quindi minima: la pubblicità di capi d’abbigliamento specifici per il pilota era limitata alla proposta di vestiario studiato per altre applicazioni (caccia o escursioni) e naturalmente il passeggero era totalmente ignorato.
Quanto alla sicurezza e alla praticità di guida, raramente comparivano inserzioni con protagonisti caschi o occhiali. Tutto cambiò dopo la Seconda Guerra mondiale, quando la motocicletta – da veicolo riservato ai ceti abbienti per uso prevalentemente sportivo – si trasformò nell’unico mezzo motorizzato in grado di agevolare il lavoro di ricostruzione del Paese. Ovviamente, rispetto all’anteguerra il panorama produttivo era radicalmente mutato e non soltanto in Italia: prevalentemente motorini ausiliari per biciclette con trasmissione a rullo e moto di cilindrata da 60 a 175 cm³ con rare estensioni a 250 cm³, all’insegna della massima economia d’acquisto e di esercizio.
Queste nuove moto furono accolte con grandissimo favore dal pubblico cui erano destinate, composto da un numero esiguo, quasi irrisorio, di appassionati di vecchia data e da una moltitudine di nuovi utilizzatori per necessità. Ebbene, per questi ultimi la motocicletta fu un colpo di fulmine: ne furono affascinati, se ne innamorarono e da questa infatuazione di massa nacque un nuovo fenomeno: la moto come veicolo di socializzazione (Moto Club attivissimi e manifestazioni motociclistiche di ogni genere), cultura (gite e viaggi in gruppo, cognizioni tecniche) e imprenditorialità.
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