Tecnica: l'evoluzione degli impianti frenanti

Un processo graduale ma che ha avuto salti epocali: il principale è stato il passaggio dai tamburi ai dischi

Tecnica: l'evoluzione degli impianti frenanti

Massimo ClarkeMassimo Clarke

19 apr 2022

Freni in carbonio


Alla fine degli anni Ottanta ha fatto la sua comparsa il carbonio, che in breve tempo si è imposto universalmente. I dischi in carbonio sono notevolmente più leggeri di quelli in acciaio e hanno un ottimo coefficiente di attrito, che rimane pressoché inalterato anche a temperature elevate. Devono lavorare tra i 200 e gli 800° C. Fino a poco tempo fa non erano adatti all’uso sul bagnato. Di recente, però, la temperatura minima di impiego è scesa, portata a 200° C e questa limitazione è stata superata. Per diversi anni i dischi sono stati rigidi, e talvolta venivano realizzati addirittura in un sol pezzo con la campana di fissaggio al mozzo della ruota. Poi sono arrivati quelli flottanti, nei quali la fascia frenante non è vincolata saldamente alla campana ma rispetto a essa presenta una piccola possibilità di movimento assiale, e si sono imposti rapidamente.

Oggi le MotoGP impiegano dischi in carbonio che, a seconda delle esigenze specifiche, ovvero del tipo di circuito e magari anche delle preferenze del pilota, possono avere un diametro di 320, 340 o 355 mm. Lo spessore in genere è di 8 mm. La potenza dei freni moderni è elevatissima e la quantità di calore da dissipare imponente. Un aumento del diametro del disco consente non soltanto di migliorare la frenata ma anche di evitare che la temperatura possa raggiungere valori eccessivi. Questo spiega perché si sia arrivati a 355 mm.

Quando hanno iniziato ad affermarsi i freni a disco le pinze erano a due pistoni opposti e venivano collocate indifferentemente davanti o dietro gli steli della forcella. Nel primo caso godevano di un miglior raffreddamento ma nel secondo la loro massa si veniva a trovare più vicina all’asse di sterzo. Dal 1983 la disposizione posteriore si è imposta definitivamente, nella classe regina (alla quale facciamo sempre riferimento). È interessante ricordare che negli anni Settanta la Yamaha ha impiegato diffusamente pinze in ghisa. Con quelle di alluminio la frenata era peggiore e la leva “spugnosa”. Questo è dovuto al fatto che il disegno e il dimensionamento era eguale in entrambi i casi e che tra i due materiali vi è notevole differenza a livello di modulo elastico.

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